La famiglia di Matthew Bartolo, il 17enne morto in un incidente sul lavoro nel giugno 2015 presso l’azienda Construct Furniture, ha depositato una protesta giudiziaria contro il commissario di polizia, il presidente dell’autorità per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (OHSA) e l’Avvocatura dello Stato. L’atto, presentato subito dopo il verdetto, denuncia una gestione «gravemente carente e superficiale» delle indagini, con omissioni e scarsa coordinazione che – secondo i familiari – hanno contribuito alla recente assoluzione degli imputati per omicidio colposo.
Bartolo aveva appena iniziato a lavorare nel suddetto mobilificio quando rimase schiacciato tra due componenti mobili di un macchinario industriale. Il giovane non sopravvisse, e da quel momento la famiglia iniziò una battaglia legale durata un decennio, segnata da udienze rinviate, grovigli burocratici e una versione dei fatti mai pienamente ricostruita. L’unico testimone diretto dell’incidente, David Blundell, un collega che lavorava al suo fianco e che avrebbe dovuto garantire per la sua sicurezza, non fu in grado di ricostruire le dinamiche dell’accaduto e, successivamente, fu prosciolto dalle accuse di negligenza in un procedimento separato.
La “mazzata finale” per la famiglia Bartolo è però arrivata settimana scorsa, quando il tribunale ha assolto per insufficienza di prove il direttore della Construct Furniture, John Agius, la floor manager Amanda Cefai e il caporeparto James Cefai da ogni accusa, incluso l’omicidio colposo.
Agius è stato riconosciuto unicamente colpevole di aver assunto il minorenne senza preventiva valutazione dei rischi e senza verificarne l’idoneità medica, per questo sanzionato con una sola multa di 7.000 euro.
Il giudice, Claire Stafrace Zammit, ha sottolineato più volte le lacune dell’inchiesta e la mancanza di coordinamento tra polizia e OHSA, arrivando a criticare apertamente l’accusa che non è stata in grado di provare oltre ogni ragionevole dubbio il nesso diretto tra le azioni degli imputati e l’incidente mortale, lasciando irrisolte domande cruciali nell’individuazione delle responsabilità.

Il tribunale ha anche evidenziato come l’accusa non sia riuscita a dimostrare il nesso causale tra presunte omissioni degli imputati e la morte di Matthew Bartolo. Oltre a non aver perseguito l’ingegnere Nicholas Bellizzi, responsabile nel 2012 della certificazione del macchinario e tenuto per legge a garantirne la sicurezza complessiva, la procura non ha fornito prove che il direttore o i responsabili di reparto avessero ignorato difetti tecnici o violazioni operative.
Il giudice ha rilevato inoltre l’assenza di elementi per sostenere le accuse di mancanza di adeguate precauzioni in materia di salute e sicurezza, falsificazione del contratto di lavoro del giovane, soppressione di prove, mancata registrazione del personale e false dichiarazioni all’OHSA. Da ciò è derivata l’assoluzione totale degli indagati per omicidio colposo e per i reati accessori, riducendo la tragedia ad una mera responsabilità amministrativa per l’assunzione del minore senza adeguata valutazione dei rischi.
Il verdetto si è concluso con un monito: a distanza di anni, non esiste ancora una ricostruzione certa dell’accaduto, pertanto il giudice ha auspicato che, almeno oggi, polizia e OHSA operino finalmente in sinergia «per il bene della società».
In seguito alla sentenza, i familiari del giovane hanno depositato una protesta giudiziaria denunciando una «grave omissione di doveri» da parte delle autorità, responsabili – a loro dire – di un’indagine frammentaria che ha minato il processo, quindi il percorso verso la giustizia, portando all’assoluzione di chi, secondo loro, doveva pagare per la morte di un ragazzino di soli 17 anni.
Parlando coi media maltesi, hanno ricordato di aver già avvertito, nel 2018, con una prima protesta formale, che la mancata collaborazione tra enti avrebbe messo a rischio il processo, ma anche in quel caso nessuna azione concreta sarebbe mai stata intrapresa.
All’uscita dall’aula, i parenti della vittima non hanno nascosto la loro amarezza e immensa frustrazione: «Una vita non può valere 7.000 euro», ha dichiarato la zia, Glorianne Abdilla, al portale investigativo The Shift. «Abbiamo trascorso dieci anni nell’attesa che venisse fatta giustizia, ma nessuno ha pagato e nessuno si è neppure scusato».
La famiglia di Bartolo chiede ora che lo Stato risponda in sede civile per i danni subiti, accusando le istituzioni di aver negato loro il diritto alla giustizia.
(photo credits: Facebook)
Il Corriere di Malta è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale e rimanere sempre aggiornato