È tornato in aula il caso dei sette siriani arrestati lo scorso 29 aprile con accuse legate al terrorismo durante un’operazione congiunta tra le forze dell’ordine e l’Europol avviata all’inizio di quest’anno.
Ajil Al Muhsen (21), Adnan Maashi (21), Yazan Abduklaziz (26), Ahmed Kadas (25), Khalil Al Mahmoud (21), Ahmed Ahmed (27) e Mohammed Mohammed (24) sono accusati di aver dato vita ad una vera e propria campagna estremista attraverso messaggi social sovversivi, finalizzati al reclutamento e al finanziamento di attività terroristiche, diffondendo inoltre materiale e conoscenze riguardanti la realizzazione di esplosivi e l’utilizzo di armi da fuoco, finanziando e organizzando spostamenti anche all’estero per gli addestramenti.
Secondo i resoconti dei media locali, sui cellulari di 5 degli accusati sarebbero state trovate istruzioni per la fabbricazione di diversi tipi di bombe ed esplosivi, compresi immagini e diagrammi per semplificare la creazione casalinga degli ordigni. Il primo agente chiamato a testimoniare ha affermato di aver monitorato gli account dei social media dei siriani, riuscendo a identificarne sei.
Cinque di loro, avrebbero pubblicato contenuti inequivocabili: contenuti relativi a leader e religiosi dell’ISIS, video di esponenti di Al-Qaeda e di quelli che secondo il testimone erano reclute che indossavano bandane con la bandiera dell’Isis.
Ad attirare l’attenzione degli inquirenti sarebbe stato anche un altro video, in cui si intravedrebbero degli anelli con simboli dell’ISIS e filmati in cui si udiva in sottofondo il “nasheed”, una sorta di canto islamico, spesso usato per promuovere la Jihad.
La testimonianza è stata però messa in dubbio dalla difesa, che ha chiesto contezza dei metodi utilizzati per tradurre i testi e le voci sotto inchiesta, in quanto l’agente incaricato non conosce la lingua araba. Il testimone ha affermato di aver utilizzato uno strumento di traduzione online, e di essersi poi confrontato con funzionari dell’Europol.
Secondo un secondo testimone, all’interno di almeno un cellulare sarebbe stato rinvenuto diverso materiale sospetto, sempre foto e video relativi all’ISIS, simili a quelli condivisi sui social. Tra queste, le già citate immagini e istruzioni su come costruire alcuni ordigni esplosivi, tra cui autobombe e le micidiali bombe “a tubo”. Altre immagini facevano inoltre riferimento agli esplosivi utilizzati in altri atti di terrorismo in cui morirono centinaia di persone.
Un altro video mostrerebbe invece uno degli imputati mentre intona il nasheed, che invita a “sacrificare la propria anima”.
Tuttavia, in virtù del fatto che durante i raid della polizia non sono state trovate bombe o materiale esplosivo in possesso dei giovani, la difesa ha fatto sapere che presenterà una richiesta per escludere dal processo le testimonianze rese dai due agenti, e che la mancanza di prove concrete non può essere ritenuta sufficiente per un’incriminazione.
Di diverso avviso l’accusa, secondo la quale la diffusione di contenuti che inneggiano al terrorismo dovrebbe essere già ritenuta un crimine di per sé.
Il caso tornerà in aula il prossimo 22 giugno, con il magistrato che ha concluso che ci sono prove sufficienti per accusare i sette imputati, che continuano a dichiararsi non colpevoli.