La Corte d’Appello ha confermato l’assoluzione di Daniele Vitale, cittadino italiano originario di Palermo, dall’accusa di tentato omicidio, chiudendo così un procedimento durato anni e segnato da complesse valutazioni sul confine tra legittima difesa e intento criminale che avrebbe potuto costargli fino a 40 anni di carcere. I giudici hanno però rivisto la pena relativa ai reati residui, disponendo una condanna a due anni di reclusione, con pena sospesa per quattro, accompagnata da una ordinanza di supervisione per lo stesso periodo.
L’episodio risale al 2018, quando in un appartamento in Triq Forrest a St. Julian’s scoppiò una violenta colluttazione tra Daniele Vitale, e l’allora suo coinquilino Mirko Basile, entrambi ventritreenni all’epoca dei fatti. Secondo la ricostruzione della procura, tra i due vi erano tensioni legate a questioni personali, e quella sera la discussione degenerò rapidamente.
Basile, ferito e in stato di schock, si presentò poco dopo alla stazione di polizia della cittadina coperto di sangue, dichiarando di essere stato aggredito mentre si trovava in camera da letto. Raccontò che Vitale – che «sembrava più agitato del solito, come quando qualcuno fa uso di droghe» – avrebbe fatto irruzione nella stanza e lo avrebbe pugnalato, costringendolo a difendersi come poteva e a fuggire dall’appartamento.
I rilievi della polizia mostrarono tracce di sangue nel soggiorno e nelle aree comuni, due coltelli e diversi oggetti rovesciati. Basile riportò circa sedici coltellate al polso, al fianco e all’addome, come documentato dalle consulenze mediche richiamate in sentenza, che lo costrinsero ad andare due volte sotto ai ferri. Poco dopo l’aggressione, Vitale si consegnò spontaneamente alla polizia, sostenendo una versione diversa dei fatti: l’episodio, secondo lui, non fu un attacco premeditato ma un confronto esploso all’improvviso, nel quale avrebbe reagito per difendersi dal connazionale.
La Corte aveva ritenuto plausibile la versione dell’imputato, assolvendolo dall’accusa di tentato omicidio per il dubbio sul superamento colposo dei limiti di legittima difesa, ma condannandolo a due anni di reclusione per le lesioni gravi a danno del coinquilino.
In sede di appello, la pena è stata tuttavia ricalibrata, tenendo conto delle circostanze dell’episodio, del profilo dell’imputato e di diversi elementi attenuanti: l’assenza di precedenti penali, una vita stabile e un’occupazione regolare, il rispetto degli obblighi imposti nel corso del procedimento e il fatto che la violenza fosse maturata in un clima di crescente tensione e non nell’ambito di una premeditazione. La sentenza definitiva, oltre a confermare il non luogo a procedere per tentato omicidio, sostituisce la precedente pena detentiva con quella di due anni di reclusione sospesi per quattro anni.
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