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Intervista a Massimo Sarti, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Malta

In esclusiva per questo giornale il dott. Sarti parla di sé e del suo ruolo all'IIC

di Maria Grazia Strano
3 Dicembre 2018
in Attualità
Tempo di lettura:6 mins read
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Il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, il dottor Massimo Sarti, ci concede la sua prima intervista ufficiale, parlandoci di sé e spiegandoci il ruolo che l’Istituto di Cultura svolge sul territorio maltese.

Prima del suo nuovo, recente, incarico, era già stato a Malta? Se sì, quando? Quali sono le differenze significative dalla sua ultima visita? Se no, quali sono le sue impressioni sull’isola? I punti di forza e i punti deboli? Ci sono dei luoghi comuni sull’arcipelago maltese che si sente di smentire o avvalorare?

«Prima di rispondere a questa domanda devo fare una premessa: quasi sempre mi è capitato di andare a lavorare, negli Istituti Italiani di Cultura per il Ministero degli Affari Esteri,  in città o Paesi che conoscevo piuttosto poco, prevalentemente in posti dove ero stato da turista. Devo dire che all’inizio questo aspetto mi sembrava un limite, ma dopo ho iniziato a credere (forse mi son voluto convincere) che poter vedere il luogo in cui si lavora con occhi “nuovi” ha anche qualche vantaggio: ad esempio non si deve rimuovere un’idea che ti sei già formato in precedenza. E con Malta è successa la stessa cosa: ero stato a Valletta per un fine settimana nel 2002 e quindi non posso certo dire di aver conosciuto Malta. Avevo letto alcuni libri su Malta, ma sto scoprendo l’isola (anzi, le isole!) solo adesso, piano piano, con tutta la ricchezza culturale artistica e paesaggistica che offre».

Amo il mare e confermo che qui sia bellissimo, ma sto conoscendo la cucina, il carattere delle persone, e visito edifici palazzi e chiese che sono semplicemente straordinari. Li scopro spesso grazie ai progetti che sto seguendo e agli incontri che sto avendo, e mi colpiscono molto per gli spazi  imponenti e spettacolari, dove mi piacerebbe vedere – non tanto in là – una bella mostra di arte contemporanea italiana, o di design. Poi c’è anche il traffico…

Può spiegare ai nostri lettori il suo ruolo in quanto Direttore e quello, in generale, dell’Istituto Italiano di Cultura? Quali sono le iniziative e le manifestazioni culturali che intende promuovere nel periodo della sua direzione all’IIC?

«Gli Istituti italiani di Cultura nel mondo sono 83 e sono degli organismi periferici del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Malta è appunto uno di questi.

A me piace dire che l’Istituto Italiano di Cultura, dovunque esso sia, è un luogo di incontro tra gli intellettuali del mondo italiano e gli artisti del mondo locale, o di chi è comunque interessato all’Italia. È in generale un luogo di scambio e di dialogo tra quegli individui che nutrono interesse per l’Italia. È ovvio che in base al Paese della sede si hanno risposte diverse, ma devo dire – forse sono stato fortunato che in tutte le sedi in cui sono stato, ho notato sempre un grande interesse per la cultura italiana.

Gli scopi principali degli Istituti di Cultura e di conseguenza quelli del direttore, sono quelli di promuovere l’immagine dell’Italia e la sua cultura, sia quella tradizionale, che quella contemporanea la quale, pur essendo nota, ha maggior bisogno di essere valorizzata.

Un secondo, ma non per importanza, aspetto è senza dubbio quello di promuovere la lingua italiana. A tal proposito a ottobre si è svolta la XVIII edizione della Settimana della Lingua Italiana, dal tema “L’italiano e la rete, le reti per l’italiano”.

Nel concreto, dunque, l’Istituto e il Direttore organizzano iniziative per favorire la diffusione della lingua e della cultura italiana e lo fanno attraverso eventi quali mostre, concerti, festival di cinema, conferenze. Il tutto cercando la  collaborazione delle istituzioni e il coinvolgimento dei partner locali, condizione indispensabile per un’efficace esito delle iniziative.

Un altro campo che cerchiamo di promuovere è la cultura scientifica italiana. Peraltro qui a Malta c’è un nutrito gruppo di docenti e ricercatori – ed un’associazione (ADURIM) che li raggruppa – che mi ha colpito molto anche per la versatilità delle materie a cui appartengono, dalla medicina all’architettura, passando per la biologia fino ai digital games (settore che credo debba essere trattato con maggiore rispetto e con meno pregiudizi)».

Come ha accolto questo suo incarico in una sede come Malta, dove la cultura italiana, non solo per motivi di vicinanza geografica, è molto forte?

«Sicuramente non ero mai stato in una sede in cui la conoscenza della lingua italiana era così radicata e probabilmente anche il livello di penetrazione della cultura è più consistente rispetto agli altri Paesi in cui ho lavorato, soprattutto a livello generale.  Ma distinguerei le due cose.

Dal punto di vista della lingua questo è un vantaggio, ma è anche una sfida perché mantenere livelli elevati di diffusione della lingua italiana è difficile ed occorrono strategie adatte al contesto temporale e tecnologico che stiamo vivendo.

Se fino a qualche tempo fa, con la reti televisive italiane  c’era un’esposizione all’italiano che di fatto ha permesso alla nostra lingua di continuare ad essere molto diffusa, oggi i ragazzi hanno a disposizione una moltitudine di canali e soprattutto di piattaforme comunicative dove la lingua italiana ha un ruolo secondario

Anche lavorare in un Paese in cui è molto forte la presenza della cultura italiana a mio avviso è una sfida: bisogna forse proporre temi che sono stati meno approfonditi e presentare nuovi protagonisti al fine di favorire la conoscenza della contemporaneità.  A Malta si ha comunque la fortuna di lavorare su un terreno che è fertile»

Prima di assumere la direzione dell’Istituto Italiano di Cultura a Valletta, ha prestato servizio a Tel Aviv per quasi 3 anni. Quali le esperienze più significative del periodo trascorso in Israele?

«Per parlare di Israele farei una distinzione della mia esperienza dal punto di vista esistenziale e lavorativo.

Dal punto di vista esistenziale sono stati anni notevoli. Vivere nella terra in cui le tre religioni monoteiste sono nate – o comunque individuano in quella parte di mondo un ruolo fondamentale per la loro storia – è un’esperienza di grande interesse e di grande ricchezza. In particolare, Gerusalemme è una città dalla fortissima energia, è bellissima, anche se non sempre semplice nella quotidianità. Mentre Tel Aviv – dove ho prevalentemente vissuto e lavorato – ti conquista con la sua vitalità, apertura e dinamicità di città che vive davvero 24 ore su 24!

Vivere in Israele offre l’opportunità di rimuovere molti dei pregiudizi ideologici – se si hanno – nei confronti di questo Paese in base a cui molti si schierano aprioristicamente a favore del popolo palestinese o di quello israeliano. E di sentire la volontà diffusa in molti di dialogare per  giungere ad una pacifica convivenza

Dal punto di vista professionale ho vissuto tantissime belle esperienze. Qui mi sento di ricordare il programma culturale “Italia, Culture Mediterraneo” voluto nel 2018 dal MAECI nei Paesi del Nord Africa e dell’area del Medio Oriente per promuovere il dialogo fra diverse culture. In tale contesto, abbiamo presentato con notevole successo varie iniziative, fra le quali  la  splendida mostra  “Mediterraneo” di Mimmo Jodice al Museo Eretz Israel,  il progetto artistico di Daniela Papadia “Il filo dell’alleanza” consistente nella creazione di un grande arazzo realizzato da un gruppo di ricamatrici israeliane e palestinesi di culture e religioni diverse, ed il concerto jazz di Danilo Rea in trio eseguito sulla spiaggia di Tel Aviv di fronte a circa 1000 persone»

Parlando di Massimo Sarti come individuo, privo, diciamo delle vesti istituzionali, ho letto che lei ha iniziato a lavorare come docente di letteratura negli istituti superiori, poi è stato lettore all’università, poi promotore del cinema italiano…è evidente che l’amore per la cultura italiana scorra nelle sue vene. Ma se le venisse offerta l’opportunità di tornare indietro a 16, 18 anni, quale strada avrebbe intrapreso?

«Una cosa che mi sarebbe piaciuta fare? Avrei fatto volentieri il cantautore perché ho l’impressione che raccontare una storia, un’idea, in 3 minuti, dia emozioni sia per chi lo fa che per chi lo riceve. Adoro i cantautori legati alla mia generazione come De Andrè, De Gregori, Dalla, Fossati, Paolo Conte, che hanno attraversato varie stagioni della mia vita. Dimenticavo Giorgio Gaber, artista a trecentosessanta gradi».

Amo il mio lavoro. Anche se ci sono momenti di difficoltà e stanchezza, lavorare per la promozione della cultura italiana e incontrare delle culture diverse è un’esperienza unica. Un lavoro nato un per po’ per caso, che ha poi ha deciso per me e per la mia famiglia direzioni e percorsi. E che non è ancora finito!

Dall’alto della sua esperienza, quali consigli sente di dare al nostro neonato giornale? Come potremmo migliorarlo e quali errori non dovremmo commettere?

«Non mi sento di dare giudizi, ma il vostro giornale mi è piaciuto tanto, mi piace molto l’impaginazione, come si presenta e l’ho trovato ben organizzato. Voi avete il compito di raccontare Malta agli italiani, ciò che succede, ciò che è interessante per i nostri connazionali. Prima di esprimere un giudizio completo ho bisogno di conoscere meglio Malta. Io vi leggo spesso, così mi aiutate nell’impresa… continuate così!»

Tags: Istituto Italiano di CulturaMassimo SartiValletta
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