Le campane di Bidnija hanno rintoccato alle 15 in punto, spezzando il silenzio delle colline dove, otto anni fa, una deflagrazione cambiò per sempre la storia di Malta. È da quel punto esatto — il campo dove la sua auto si fermò in fiamme — che ogni anno la voce di Daphne Caruana Galizia torna a farsi sentire, anche senza parole.
Davanti al ritratto della giornalista, amici, colleghi e rappresentanti diplomatici si sono raccolti ieri per un momento di memoria e silenzio. I figli Paul e Andrew, insieme ai nipotini che Daphne non ha mai potuto conoscere, hanno deposto fiori accanto al memoriale. Poi le letture: un brano di Isabel Allende, una poesia dedicata a “una luce che non si spegne” e un passaggio del blog Running Commentary, in cui Daphne raccontava con ironia la misoginia affrontata in tribunale. Sul prato, i volontari di Occupy Justice hanno disteso lunghi teli colorati fino a formare il numero otto, testimone simbolico degli anni trascorsi e di una ferita che non si rimarginerà mai.
In serata, la capitale ha raccolto il testimone della memoria. Dalla City Gate di Valletta, una lunga marcia di cittadini e giornalisti ha raggiunto la Great Siege Square, guidata dai familiari e dal padre della giornalista, Michael Vella, che stringeva tra le mani una rosa bianca. Sullo striscione in testa al corteo, tre lapidarie parole: Truth. Memory. Liberty.
Durante la veglia, l’ex parlamentare olandese Pieter Omtzigt, già relatore del Consiglio d’Europa sul caso Caruana Galizia, ha ricordato che spesso «i grandi cambiamenti arrivano all’improvviso» e che «basta il coraggio di pochi per trasformare la verità in giustizia».
La presidente di Repubblika, Vicki Ann Cremona, ha parlato di un Paese che «non deve abituarsi all’ingiustizia», ricordando che Daphne «ha pagato il prezzo della verità in un sistema che preferiva il silenzio» e invitando a non arretrare di fronte alla corruzione ma a «difendere la libertà di stampa come fondamento della democrazia».
Un messaggio raccolto anche dal giornalista italiano Giuseppe Giulietti, fondatore del movimento Articolo 21, che ha proposto l’adozione di una legge europea per tutelare il diritto dei cronisti a raccontare i fatti di interesse pubblico: «Daphne è stata uccisa per aver fatto ciò che ogni giornalista dovrebbe poter fare liberamente».
Nelle ore successive alla commemorazione, la Daphne Caruana Galizia Foundation ha denunciato nuovi episodi di vandalismo al memoriale di Bidnija. Secondo quanto riferito, nella notte tra giovedì e venerdì alcuni individui hanno rimosso e gettato via le corone di fiori e i tributi deposti durante la cerimonia, poi immediatamente ripristinati dai volontari. Tra gli autori di uno dei video diffusi online, riferisce la fondazione, è stato riconosciuto un funzionario dell’Ufficio del Primo Ministro, accusato di aver diffuso false immagini per alimentare odio e divisione. «Il memoriale è intatto e tale resterà, nonostante chi tenta ancora di cancellarne il significato».
Nel suo comunicato, la fondazione ha ribadito che «onorare Daphne significa ottenere piena giustizia per il suo assassinio e smantellare i sistemi di abuso che ne hanno reso possibile la morte», ricordando inoltre che l’inchiesta pubblica del 2021 aveva riconosciuto la responsabilità dello Stato per non averla protetta e che, a distanza di otto anni, quella promessa di verità resta ancora incompiuta.
Sul piano giudiziario, George e Alfred Degiorgio, esecutori materiali dell’attentato, si sono dichiarati colpevoli nel 2022, mentre Robert Agius e Jamie Vella, i fornitori dell’esplosivo, sono stati condannati nel 2025. Yorgen Fenech, ritenuto il presunto mandante, è invece libero su cauzione in attesa del processo.
Quando la veglia si è sciolta, nel buio della piazza è rimasto solo il suono sommesso delle candele accese e una scritta che continua ad attraversare il tempo come un monito immortale: «Daphne was right».
(photo credits: Facebook / Occupy Justice Malta)
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