Malta è spesso vista dall’Italia come un «paradiso fiscale» dove eludere il fisco o evadere le tasse. Si tratta della realtà o di un pregiudizio? Per rispondere a questa domanda il Corriere di Malta ha fatto un’inchiesta in quattro puntate, di cui questa è la seconda. Buona lettura.
Proseguiamo la nostra inchiesta sulle opportunità che Malta offre agli italiani e agli altri europei per fare business, iniziata lo scorso 6 giugno. Dopo aver visto come le tasse molto basse di Malta possono trasformarsi in una trappola, affrontiamo adesso un altro aspetto insidioso: il rischio di scivolare nelle attività illegali.
A rispondere ai dubbi del Corriere di Malta è ancora Raffaele D’Arienzo, che questa volta parla in veste di esperto dell’antiriciclaggio.
Abbiamo già visto la relazione tra reddito realizzato a Malta e Fisco italiano. Ma in che modo le autorità italiane possono sapere se e quanto un imprenditore ha realizzato profitti all’estero?
R. Esiste una procedura di scambio informativo tra le due autorità fiscali nazionali. Si tratta di un flusso informativo di recente applicazione che però è retroattivo. In precedenza, si comunicavano specifici interessi di italiani in imprese locali ma solo su richiesta. Difatti, l’Agenzia delle Entrate ha già iniziato ad inviare le cosiddette lettere di compliance, ovvero un invito a chiarire la propria posizione, già per le annualità dal 2015 in poi, a tutti quei contribuenti italiani che risultano intestatari di partecipazioni in imprese maltesi delle quali non c’è traccia nelle loro dichiarazioni alle autorità italiane, se dovute.
Questo vale anche per contribuenti di altri Stati dell’Ue?
R. Sì, ma con modalità differenti, a seconda delle culture legislative di quei Paesi. In ogni caso, la normativa italiana è tra le più rigorose.
Esistono anche degli obblighi nei confronti delle proprie autorità per un contribuente italiano che vuole investire all’estero? Comunicazioni, autorizzazioni da richiedere…?
R. No, in generale non serve alcuna autorizzazione e non ci sono altri obblighi preventivi per aprire attività all’estero. Per quel che riguarda Malta, c’è anche una burocrazia più snella, rispetto alla nostra.
Burocrazia più snella significa anche controlli meno rigidi?
R. Il parallelo non è automatico, anzi. È piuttosto una questione di efficienza. Per esempio, i principi normativi sull’anti-riciclaggio sono gli stessi in tutt’Europa, in quanto contenuti nelle direttive europee. La differenza è data dal recepimento di tali principi nell’ordinamento di ciascun Paese membro. E stanno diventando sempre più stringenti. Ma proprio per questo applicarli richiede competenze, risorse e strutture, anche informatiche, di livello adeguato. E Malta, che ha fatto dei grandi passi in avanti, sta compiendo degli sforzi enormi per essere congrua a queste esigenze.
Ma allora perché continua ad avere questa pessima reputazione internazionale? Ogni tanto si sente anche dire che potrebbe finire nella grey list per la scarsa trasparenza nei flussi finanziari.
R. Pesano alcun deficit normativi e procedurali provenienti dal passato. Ma le autorità maltesi, come abbiamo già accennato, stanno lavorando su questi aspetti. Grandi sforzi, in ossequio ai principi anti-riciclaggio, sono rivolti alla definizione e individuazione del “beneficial owner”, ovvero il ”titolare effettivo” delle società operanti sul territorio isolano.
Intende dire che il titolare effettivo potrebbe essere una persona diversa da quella che risulta sulle carte?
R. Intendo dire che non sempre i reali proprietari delle società sono quelli che risultano da una prima analisi.
Esiste un report realizzato da un istituto di studi che si occupa proprio di criminalità economica, il Trans crime, nel quale viene valutata la trasparenza delle società, e quindi la media della trasparenza del Paese, sulla base dei passaggi che si devono fare per arrivare a individuare i reali titolari. Una società di capitali potrebbe essere controllata da un’altra società e così via. Più passaggi si devono fare prima di arrivare ai nomi di chi controlla quell’attività, più la società viene considerata opaca. Il massimo di trasparenza è 1 (un solo passaggio) per Malta la media è di 1,7. Non è un indice di presenza della criminalità ma solo un elemento di attenzione.
Ma la cattiva reputazione del Paese può trascinare anche la reputazione delle imprese che lavorano qui?
R. Sono contraccolpi potenziali. Chi opera con Malta potrebbe incontrare difficoltà a operare con partner di altri Paesi dell’Unione, soprattutto le istituzioni bancarie. Una società di gaming, per esempio, si potrebbe vedere negata l’attività bancaria perché l’istituto di credito si trincera dietro il dettato normativo anti-riciclaggio reputazionale.
Quindi, chi gestisce un sito di gioco, per di più a Malta, potrebbe sentirsi dire: non ti apro il conto?
R. È una possibilità. Ma anche la finanza aggressiva e il fintech sono settori sempre sotto la lente.
Ma se per il gaming l’attrattiva di Malta è dovuta a una normativa che qui è stata fatta prima che nel resto dell’Ue, e quindi a un contesto di servizi e di risorse umane che favorisce le imprese del settore, per la finanza cosa attira tanti investitori esteri? Non solo deve rispettare le norme di trasparenza valide in tutta l’Ue ma, in più, chi opera da Malta si vede guardare con sospetto.
R. In ambito finanziario, la normativa maltese risente degli influssi britannici.
E i britannici, nell’ambito della finanza, non sono considerati un esempio di estremo rigore.
R. Ci sono delle procedure che il mondo della finanza d’Oltre Manica mal digerisce. Quindi, Malta deve mediare tra questo approccio anglosassone e gli standard Ue. Inoltre, trovarsi al centro del Mediterraneo significa trovarsi al centro di vari interessi finanziari del Nord e del Sud Europa. È di fatto un ponte tra due mondi, quello europeo e quello mediorientale, con intrecci culturali ed economici con il Maghreb o con Dubai, con salde radici storiche.
La prossima puntata dell’inchiesta sarà pubblicata sabato 20 giugno